Appunti su "Storia della letteratura cristiana antica". Nel testo viene trattata l'attività letteraria dalle origini al III sec., il periodo che va dall'epoca costantiniana alla crisi del mondo antico, e la separazione tra oriente e occidente dal quinto al settimo secolo.
Letteratura Cristiana Antica
di Gherardo Fabretti
Appunti su "Storia della letteratura cristiana antica". Nel testo viene trattata
l'attività letteraria dalle origini al III sec., il periodo che va dall'epoca
costantiniana alla crisi del mondo antico, e la separazione tra oriente e
occidente dal quinto al settimo secolo.
Università: Università degli Studi di Catania
Facoltà: Lettere e Filosofia
Esame: Letteratura Cristiana Antica
Docente: Grazia Rapisarda
Titolo del libro: Storia della letteratura cristiana antica
Autore del libro: Manilo Simonetti - Emanuela Prinzivalli
Editore: EDB
Anno pubblicazione: 20081. La letteratura di Paolo di Tarso
Paolo di Tarso era di famiglia genuinamente ebraica, fariseo e rigorosamente osservante. Studiò col famoso
rabbino Gamaliele. Partecipò alla prima persecuzione degli ellenisti. Non possiamo dare una intepretazione
unilaterale di Paolo, cioè non possiamo né passare sopra il Paolo giudeo osservante di Luca né sopra il Paolo
greco. Paolo era di Tarso, nella greca Cilicia, quindi la sua lingua era il greco prima dell'aramaico e la sua
formazione è prima di tutto ellenistica, tant'è vero che quando cita le Scritture lo fa tramite la Bibbia dei
Settanta. Paolo era anche cittadino romano. Non conosce il Gesù terreno ma il Geù celeste, nel famoso
episodio di Damasco (avvenuto forse nel 33) e da allora si convince che la salvezza non poteva venire
dall'osservanza della legge mosaica ma dalla fede in Cristo morto e risorto. Nel 47 – 48 inizia la sua attività
apostolica sostenendo che l'offesa fatta a Dio da Adamo è stata cancellata col sacrificio vittorioso di Gesù.
Ma Paolo non ha mai smesso di meditare sulla salvezza del popolo ebraico e il rifiuto del suo popolo per la
figura di Cristo come Messia è sempre stata per lui un problema angoscioso. Paolo dice che Dio non ha
ritirato l'antica alleanza ma la salvezza viene ora dalla fede in Cristo e se gli ebrei rimangono il popolo
eletto, rimangono l'Israele secondo la carne, mentre i cristiani sono l'Israele di Dio (lettera ai Galati). Paolo
sosterrà molti altri scontri come spiega Luca negli Atti degli Apostoli: con Pietro sul problema dei rapporti
rituali (la comunione della tavola) con i pagani; nel Concilio di Gerusalemme (49?) dove si affronterà il
problema della libertà dei pagani dalla legge mosaica. Nel 52 Paolo si trovava a Corinto. A Corinto
l'esigenza di predicare il messaggio evangelico lo porta a scrivere una lettera alla piccola comunità
apostolica di Tessalonica. Questa lettera è il più antico documento cristiano giunto sino a noi. Difficilmente
possiamo pensare che esso sia il primo documento assoluto della cristianità ma legittimamente possiamo
affermare che prima di esso non devono essere stati molti né molto più elaborati gli scritti eventualmente
precedenti poiché ancora la diffusione del messaggio evangelico non implicava l'uso massiccio del canale
scritto. La predicazione si svolgeva tra giudei e pagani tramite la lingua orale, prima aramaica e poi greca e
del resto la disputa coi giudei non implicava tanto un uso retorico della fonte scritta quanto una discussione
verbale delle profezie veterotestamentarie. Ma con Paolo l'esigenza di mantenersi in contatto con le
comunità che istituiva nel corso dei suoi viaggi da una parte, e il bisogno di lasciare una tradizione scritta
affidabile man mano che il messaggio verbale di Cristo andava scemando nel corso degli anni, si
cominciarono a creare delle embrionali raccolte di detti e fatti del Signore. Noi non conosciamo nulla di
queste prime raccolte ma esse fornirono il materiale che poi man mano amplificato portò alla formazione dei
Vangeli canonici e dei vangeli apocrifi. La polemica coi pagani sull'osservanza cristiana delle pratiche
veterotestamentarie, così come volevano i giudei, furono alla base delle prime infuocate polemiche e delle
cosiddette Grandi Lettere di Paolo: nella Lettera ai Romani e nella Lettera ai Galati, Paolo col suo stile secco
e pieno di pathos sostiene che la salvezza proviene dalla fede in Cristo, mediante il battesimo, mentre la
legge mosaica dà solo la coscienza del peccato senza salvare l'anima. Nella Prima e Seconda Lettera ai
Corinzi, Paolo dice però che ciò non implica non rispettare i grandi imperativi morali dell'AT. Nella Lettera
ai Colossessi e in quella agli Efesini, Paolo affronta il tema della realizzazione del mistero divini grazie
all'unione di giudei e pagani nel grande corpo della chiesa.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura Cristiana Antica 2. I vangeli come opere teologiche
I Vangeli non sono da considerare come vite di Gesù o come opere di storia ma come opere di teologia, che
devono testimoniare e confessare la fede della comunità in Gesù di Nazaret Messia e Figlio di Dio. Il Gesù
dei Vangeli non è dunque la figura che apparve agli abitanti di Palestina durante la sua vicenda terrena, il
Gesù secondo la carne, ma la figura di Gesù come è stata compresa dai discepoli nella fede dopo la
risurrezione, il Gesù secondo lo spirito.
Questo lavoro di rielaborazione e distinzione prende più o meno forma tra il 60 e il 90 nei vangeli di Marco,
Matteo e Luca. L'ipotesi delle due fonti, per quanto non ancora esauriente, sembra oggi la spiegazione più
attendibile sulla genesi dei vangeli sinottici: tutto Marco è presente in Luca e Matteo (ipotizzando la
derivazione di Luca e Matteo da Marco indipendentemente l'uno dall'altro) mentre ciò che non compare in
Marco ed è invece comune in Matteo e Luca deriverebbe da una cosiddetta Fonte Q che sarebbe costituita da
una serie di detti (logia) di Gesù. Infine sia Matteo sia Luca hanno fatto riferimento ad altre fonti.
Al di là dei tratti individuali i tre vangeli condensano l'attività di Gesù in uno schema comune molto
semplice: preannuncio della missione da parte di Giovanni Battista, battesimo di Gesù nel Giordano ad
opera di Giovanni Battista, attività evangelizzatrice di Gesù in Galilea, viaggio a Gersualemme, arresto,
processo, passione, morte, resurrezione e apparizione ai discepoli. Tutti e tre sostituiscono al Messia
restauratore del Regno di Davide, il Messia che salverà tutto il mondo.
Marco è il più elementare e di tono più popolare anche per forma e modo di raccontare. Vede in Gesù il
taumaturgo benefico che tiene celata la sua dignità messianica in funzione della resurrezione. Matteo
partecipa di questa convinzione e anche lui sottolinea l'attività taumaturgica di Gesù, ma il suo Gesù è
soprattutto un rabbi, un dottore della legge, che interpreta la legge e forte della sua autorità la completa.
Siamo in un ambito tradizionalista che se da una parte condanna i giudei che hanno messo a morte Gesùm
dall'altra non accetta il rifiuto paolino della legge e cerca di trovare
nella legge il messaggio di salvezza professato da Gesù.
Luca si indirizza ai pagani convertiti, come lui, mentre la sua impostazione paolina lo rende meno
permeabile ai richiami ebraici e più sensible ai risvolti più socialmente significativi del messaggio di Gesù.
Gesù è un nabi, un profeta salvatore che rivendica la libertà dei figli di Dio sanando i mali del corpo ma
ancora di più quelli dell'anima. Luca a differenza di Marco e Matteo sente ormai la seconda venuta di Cristo
come una realtà ormai appartenente ad un futuro indefinito.
Luca scrive anche gli Atti degli Apostoli. Sono fondamentali per la nostra conoscenza del cristianesimo
antico perchè anche se non possiamo considerarli come fonte storiografica in senso stretto (perchè la
intenzione principale è sempre teologica) ci trasmettono l'immagine della chiesa di Luca (80) e ci forniscono
una serie di dati preziosi sulla predicazione di Paolo e sulla comunità primitiva di Gerusalemme.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura Cristiana Antica 3. Le pastorali e il corpus Giovanneo
Negli Atti degli Apostoli, Luca mette in bocca a Paolo la profezia secondo la quale dopo la sua partenza,
sedicenti professori cercheranno di insegnare dottrine perverse che rovineranno il messaggio della Chiesa.
Fu così che in un ambiente arroventato, fatto di scontri tra missionari giudeocristiani e integralisti paolini, si
avvertì l'esigenza di irrigidire l'organizzazione interna delle comunità istituendo una regolare gerarchia
imperniata sull'autorità del vescovo assistito da presbiteri e diaconi.
Tra la fine del I secolo e l'inizio del secondo, un ignoto discepolo di Paolo ricorre all'espediente della
pseudoepigrafia, facendo circolare a nome di Paolo delle lettere che poi prenderanno il nome di Pastorali: 1
e 2 a Timoteo e la lettera a Tito. Si aggiungono poi le cosiddette Lettere Cattoliche: I e II lettera di Pietro,
Lettera di Giacomo e Lettera di Giuda. Da non dimenticare anche la Lettera agli Ebrei.
Nel complesso di queste opere pseudoepigrafe, fa spicco un corpus di scritti di diverso genere collegati tra
loro dalla comune attribuzione all'apostolo Giovanni, e anch'esse risalenti alla fine del I secolo – inizio del
II. Parliamo della 1, 2 e 3 lettera di Giovanni, del Vangelo e dell'Apocalisse. I rapporti di queste opere non
sono facilmente decifrabili ma si può ipotizzare un ambiente cristiano in qualche modo connesso col nome e
l'autorità dell'apostolo Giovanni, una parte di tale ambiente che era di tendenza maggiormente giudaizzante
rispetto all'altra, di tradizione paolina.
Una tendenza giudaizzante è fortemente visibile nell'Apocalisse, e lo stesso genere escatologico era tipico
del giudaismo tra II sec. a.C. E II sec. d.C. Il genere apocalittico era caratterizzato da rivelazioni a mezzo di
visioni comunicate da un essere soprannaturale mediatore ad un personaggio umano, e avente per oggetto
soprattutto, anche se non esclusivamente, le vicende catastrofiche degli ultimi tempi del mondo.
L'Apocalisse giovannea si conclude col trionfo di Cristo sulle potenze avversarie e l'instaurazione in terra
della nuova Gerusalemme. L'opera è scritta in un greco approssimativo e pieno di semitismi e non è di facile
interpretazione per i numerosi contenuti simbolici. L'autore delle tre lettere si definisce l'Anziano e riflette
una crisi interna alla comunitù e provocata da una parte di essa che nega la realtà della passione di Cristo,
ritenuta incompatibile con l'affermazione della sua divinità, il cosiddetto docetismo, che sarà combattuta già
nel Vangelo di Giovanni.
Il Vangelo di Giovanni si riferisce al Cristo come il Logos fatto carne. Anche il tono è differente dai sinottici
perchè grave, ieratico, da rivelazione iniziatica.Ma l'immagine di Gesù che emerge dal quarto Vangelo è
molto diversa da quella dei Sinottici così che la ricerca moderna sul Gesù storico fa distinzione tra il Gesù
dei Sinottici e il Gesù di Giovanni, considerando quello di Giovanni il meno storicamente attendibile. La
ragione della differenza del vangelo di Giovanni sta non tanto nella sua distanza storica (dato che un
frammento di papiro contenente dei brani risale al 130) quanto nella sua natura teologica. Questo Giovanni è
certamente un teologo di alto livello, più dei precedenti evangelisti, e non vuole raccontare la vicenda del
Gesù storico ma la fede e l'interpretazione della sua persona così come circolavano nella sua comunità,
giudaica. Il vangelo di Giovanni non mostra grande interesse né per gli aspetti escatologici né per i contenuti
etici della predicazione, punta la sua attenzione sulla riflessione teologica sulla figurà di Gesù divino.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura Cristiana Antica 4. Le testimonianze del canone neotestamentario: le lettere di Paolo
Sono le Lettere di Paolo, nella loro stesura definitiva, le più antiche testimonianze del canone
neotestamentario. Sono lettere che esprimono la necessità di istruire, correggere e confortare sulla dottrina
cristiana. Esse, dunque, rappresentano il momento del consolidamento della comunità, non la sua
fondazione. Delle Tredici lettere di Paolo solo Sette sono da attribuire effettivamente a Paolo:
- I lettera ai Tessalonicesi = tratta principalmente del problema della parusìa.
- Lettera ai Filippesi = Dove Paolo tratta del fatto che Gesù non si vanta della sua uguaglianza con Dio ma
utilizza il suo status per redimere l'umanità.
- Lettera ai Galati = dove tratta del problema dell'imposizione ai pagani convertiti della Scrittura e
dell'Israele secondo la carne dell'Israele secondo lo spirito.
- Le due Lettere ai Corinzi
- La lettera a Filemone
- La lettera ai Romani.
Dopo le lettere di Paolo si aggiungono i quattro Vangeli, nell'ordine Marco, Luca, Matteo e Giovanni.
- le lettere di Paolo non autentiche o discusse: II lettera ai Tessalonicesi, agli Efesini, ai Colossesi, I e II
lettera a Timoteo, a Tito, le ultime tre chiamate anche Lettere pastorali. Le lettere pastorali insegnano
soprattutto una serie di regole di condotta e rappresentano una chiesa ormai abbastanza organizzata.
- Lettere Cattoliche: I e II lettera di Pietro, di Giacomo, di Giuda, I, II e III lettera di Giovanni.
- Lettera agli Ebrei
- Atti degli Apostoli. Sono fondamentali per la nostra conoscenza del cristianesimo antico perchè anche se
non possiamo considerarli come fonte storiografica in senso stretto (perchè la intenzione principale è sempre
teologica) ci trasmettono l'immagine della chiesa di Luca (80) e ci forniscono una serie di dati preziosi sulla
predicazione di Paolo e sulla comunità primitiva di Gerusalemme.
- Apocalisse. É l'unico testo neotestamentario che riprende la tradizione apocalittica giudaica (che nella
Torah troviamo nel Libro di Daniele e a cui l'Apocalisse si ispira) e si caratterizza per la sua concezione
drammatica della storia, un teatro perenne di scontri tra giusti e peccatori, immagine dello scontro celeste tra
Dio e Satana. È anche il testo che pone le basi del conflitto tra credenti e potere politico romano, dato che si
parla delle due bestie (potere politico e religioso) che perseguita i santi.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura Cristiana Antica 5. Gli scritti trattatisti e apocrifi
Iniziamo dalla Didachè, ossia Dottrina dei dodici apostoli. Esso è un manuale breve, contenente norme di
valore morale, liturgico e disciplinare, composto forse in Siria per venire incontro a quella esigenza di
normalizzazione della vita della comunità cui si è accennato. La fede in Gesù Cristo si inserisce nel testo in
un ordine mentale prettamente giudaico, dove la nuova fede è sentita in comunità col giudaismo. Il
riferimento agli apostoli voleva essere un attribuzione di legittimità vincolante. In effetti tutte le produzioni
precettive che seguiranno vanteranno tutte in qualche maniera una concessione, un imprimatur apostolico.
Un posto a sé stante merita la lettera attribuita a Barnaba, il missionario di cui si parla tanto negli Atti. Il
testo è anonimo, forse di origine alessandrina, e presenta in apertura e chiusura le caratteristiche formule
epistolari, ma di fatti si presenta come un vero trattato. La Lettera di Barnaba sviluppa importanti temi
dottrinali, più importante dei quali è quello dell'interpretazione della legge giudaica alla luce della morte e
della risurrezione di Cristo. Barnaba estremizza la posizione paolina negando all'AT qualsiasi significato
letterale e materiale che gli ebrei sostenevano, attribuendogli solo quello spirituale di prefigurazione
cristologica. Paolo aveva già ridotto a typoi (prefigurazioni) di giudei e cristiani i figli di Abramo, Ismaele
ed Isacco ma ora il procedimento viene dilatato: per esempio la distensione delle braccia di Mosè è simbolo
della croce di Cristo.
Passiamo ora ai cosiddetti apocrifi. Anzitutto apocrifo non è sinonimo di eretico o di falso. Con apocrifo si
dovrebbe intendere uno scritto non canonico, in seguito alla formazione del canone neotestamentario, anche
se non tutto ciò che non è canonico può definirsi apocrifo. Approfondiamo il discorso. Possiamo definire
apocrifi solo quegli scritti che non sono diventati canonici ma per la loro forma letteraria e per l'autorità
dottrinale che rivendicano appaiono in concorrenza con i testi canonici.
Il fenomeno degli apocrifi nasce dalla varietà e dalla flessibilità della tradizione apostolica nei riguardi di
Gesù, che essendo all'inizio orali, erano suscettibili di cambiamenti più o meno vasti. Un esempio del genere
è quello del papiro Egerton 2, fine del II secolo, che contiene quattro episodi evangelici in una forma
leggermente diversa da quella dei vangeli canonici.Il fenomeno si amplia quando nascono testi dottrinali
dotati di una certa autorità. La Chiesa non ha ancora adottato una forma canonica così gruppi cristiani di
orientamenti diversi possiedono forme orientate di un medesimo scritto. Prendiamo come esempio il
Vangelo di Matteo. I Padri della Chiesa citano molti testi usati da gruppi giudeo cristiani di Siria che
appaiono in stretto rapporto con questo Vangelo: lo Judaicon, il Vangelo secondo gli Ebrei, il Vangelo dei
Nazareni, il Vangelo degli Ebioniti. Conosciamo poco questi scritti ma una considerazione la possiamo fare:
vi sono stati certamente in Siria dei gruppi giudeo – cristiani che utilizzano e rielaborano ai propri fini il
Vangelo di Matteo, o apportando semplicemente delle varianti, o sviluppando ed elaborando alcuni episodi
in chiave apologetica, correggendo il testo con tagli e ampliamenti che esprimono il punto di vista teologico
del proprio gruppo. Dagli inizi del secondo secolo questi gruppi rielaborano anche gli altri tre vangeli.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura Cristiana Antica 6. La letteratura Apocrifa
Un altro caso è quello del Vangelo di Tommaso, una raccolta di 114 detti di Gesù scoperta nella biblioteca
gnostica di Nag Hammad, Alto Egitto. Sembra che anche questo Vangelo sia passato per redazioni
successive, utilizzando e rielaborando i detti contenuti nei quattro Vangeli Canonici in una forma letteraria
simile alla cosiddetta Fonte Q.
Il Vangelo di Pietro proviene anch'esso dalla chiesa di Siria ma non possiamo darne una valutazione
compiuta.Dal II secolo avanzato però inizia a formarsi un vero e proprio canone ed è proprio questa
formazione ad aumentare la produzione di testi apocrifi. Proprio il tentativo di ottenere, infatti, un
riconoscimento canonico, generava molta letteratura apocrifa, di forma letteraria ugualmente avanzata.
Proprio il fatto che molti di questi testi vengano attribuiti a personaggi di origine apostolica (Pietro,
Giovanni, Paolo, Filippo) esprimono la volontà di entrare in concorrenza con i testi canonici, affermando
nuove rivelazioni di Cristo.
Ci sono poi quegli scritti apocrifi che nascono dal desiderio popolare di conoscere, di raccontare episodi più
numerosi e suggestivi della vita dei propri eroi, abbellendo con caratteri novellistici i dati, originariamente
molto sobri, della tradizione apostolica. Nascono così gli Atti di Pietro, di Giovanni, di Andrea e di
Tommaso.
Come si formò il canone neotestamentario? Non è chiaro. Non è una decisione della gerarchia ecclesiastica
che indica autorevolmente i testi canonici. È la logica stessa dello sviluppo della tradizione che porta
all'affermazione di un corpus di testi normativi; gli scritti che appaiono autentici testimoni della tradizione.
È anche vero che il moltiplicarsi di testi che pretendono di avere autorità dottrinale, obbliga la Chiesa a
operare una selezione. Marcione e il suo tentativo di dare un suo corpus di testi normativi sarà
probabilmente stata la molla decisiva. Alla fine del II secolo ci sono due importanti testimonianze che ci
forniscono l'elenco dei libri considerati canonici:
- L'Adversus Haereses di Ireneo di Lione. Composto tra il 180 e il 190 cita, anche se non li definisce ancora
come Nuovo Testamento: i Quattro Vangeli, le Tredici lettere di Paolo, gli Atti degli Apostoli, la I lettera di
Pietro, I e II lettera di Giovanni, Apocalisse, Lettera agli Ebrei e Pastore di Erma.
- Il Frammento Muratoriano, forse di Ippolito, scoperto nel 1740 da Ludovico Muratori. Qui si citano: i
Quattro Vangeli, le Tredici lettere di Paolo, gli Atti degli Apostoli, I e II lettera di Giovanni, Apocalisse,
Apocalisse di Pietro (seppur con qualche riserva).Non esplicitano i criteri dell'accoglimento dei testi ma
lasciano chiaramente intendere che sono quelli che corrispondono all'autenticità della tradizione apostolica
accolta universalmente dalla Chiesa, quella tradizione di cui poi parleremo con Ireneo e Tertulliano: la
regula fidei.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura Cristiana Antica 7. Le caratteristiche dello gnosticismo
Col nome di eresie ed eretici i cristiani indicarono fin dagli inizi del II secolo le deformazioni dottrinali che
ritenenevano incompatibili con la retta fede e coloro che la professavano e che, come tali, se perseveravano,
venivano allontanati dalla comunità. In greco airesis non ha una connotazione negativa ma indica solamente
la scelta. Solo a partire dalla fine del II secolo si può parlare di una dottrina ortodossa ormai costituita nelle
sue linee essenziali
Lo gnosticismo è una forma di religione dualistica che pone al suo centro la conoscenza (la gnosi) del
mondo e dell'uomo, ottenuta attraverso una rivelazione divina.
- Harnack dice che lo gnosticismo è una forma di ellenizzazione acuta del cristianesimo; una eresia. Nata in
seno al cristianesimo, deriva dall'incontro del messaggio cristiano con la cultura greca a partire dal secondo
quarto del secondo secolo.
- Bousset e Reitzenstein sostengono, invece, che esso sia un fenomeno solo parzialmente legato al
cristianesimo. Non di eresia cristiana si tratta ma di un fenomeno di storia delle religioni sviluppatosi in
Oriente, mediato dal giudaismo, in una forma che pescava dalla mitologia iranica e diffusosi poi in
Occidente dove sarà influenzato da elementi filosofici della Grecia.
Fino al 1945 lo gnosticismo era conosciuto solo sulla base delle notizie e dagli estratti contenuti nelle
confutazioni dei Padri della Chiesa, in particolare dall'Adversus Haereses di Ireneo di Lione e dalla
Refutatio omnium haeraesium di Ippolito di Roma. Nel 1945 si scopre a Nag Hammadi una intera biblioteca
gnostica in copto che però non sembra avere modificato radicalmente la valutazione della natura e delle
origini del movimento gnostico, dato che purtroppo risalgono alla seconda metà del II secolo, non dicendo
dunque nulla a proposito di una ipotetica gnosi precristiana.
Ireneo ed Ippolito dicono che lo gnosticismo risale a Simon Mago, il personaggio di cui parlano gli Atti
degli Apostoli. Ireneo parla anche di un altro gnostico importante, Saturnino, di cui sappiamo solo che operò
ad Antiochia nella prima metà del II secolo. Dice Ireneo che la sua dottrina consiste in una interpretazione
della Genesi in chiave dualistica.
C'è poi un altro famoso scritto gnostico, l'Apocrifo di Giovanni che parla di Iadalboth, il dio dei Giudei di
Saturnino, identico a Saclas, il diavolo. Caino e Abele nascono dall'unione di Iadalboth con Eva. La Genesi
quindi, dicono gli gnostici, non è come la interpretano gli Ebrei ma come gli gnostici illuminati la rileggono
esotericamente.
Parliamo poi del cosiddetto Gnosticismo Cristiano. Si sviluppa ad Alessandria con Basilide, Valentino e i
testi come la Ipostasi degli Arconti e L'origine del mondo (che è un grande dramma cosmologico fondato
sulla intepretazione esotetica di Genesi 1 - 6), ritrovati a Nag Hammadi. Basilide si alimenta del pensiero
greco e in particolare del platonismo medio, affermando la trascendenza assoluta di Dio, che non esiste
dunque. Insiste poi sul processo di degradazione del divino, da cui deriva, per emanazione, tutta la realtà
spirituale.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura Cristiana Antica 8. La scuola gnostica Valentiniana
Arriva poi lo gnosticismo di Valentino, di cui si sa poco. Pare che sia nato ad Alessandria, che sia stato
cacciato da Roma e che abbia fondato una scuola divisa in ramo occidentale (Tolomeo ed Eracleone) e ramo
orientale (Teodoto e Marco). Siamo qui ad una evoluzione della dottrina gnostica che da reinterpretazione in
chiave dualistica ed esoterica della Genesi intrisa di neoplatonismo, assume caratteri più definiti. Ed è con
questo stadio che si misurano gli eresiologi cristiani come Tertullaino, Ireneo eccetera. Quali sono le
carreristiche della scuola valentiniana,che non è l'unica scuola gnostica evoluta?
- Un profondo senso di estraneità dal mondo; il desiderio di allontanarsene per recuperare la loro natura
perduta. Lo gnostico si sente radicalmente straniero, gettato in un universo materiale che non accetta. È
convinto di appartenere ad un altro mondo, un mondo divino, da cui è decaduto alle origini e la cui
conoscenza possiede per mezzo di una rivelazione.
- Una concezione dualistica del mondo secondo cui, per effetto di un dramma cosmico originario che ha
degradato o disintegrato la realtà celeste, ha dato vita ad uno scontro tra la potenza divina suprema e le
potenze inferiori contrapposte. Così il pleroma, lo spirito celeste dell'uomo, è finito in balia del creatore del
mondo materiale, dove ora giace prigioniero del corpo e in mano alle potenze del male. La salvezza arriva
con la gnosi della propria natura divina, che è estranea a questo mondo materiale. Non è una conoscenza
razionale ma rivelata, da un redentore celese, agli uomini eletti. Il redentore celeste non è Gesù terreno ma il
Cristo ultraterreno proveniente dall'alto, che è morto solo apparentemente, doceticamente.
Tra i testi conosciuti attraverso i polemisti cristiani due almeno meritano di essere specificamente ricordati.
La lettera di Tolomeo a Flora, che è uno scritto di propaganda particolarmente curato sotto l'aspetto formale,
e che tratta dell'interpretazione della legge mosaica, considerata opera del Demiurgo, il dio inferiore
contrapposto al Dio Sommo che Cristo ha rivelato nel NT.
Il Commento a Giovanni di Origene che per confutare le dottrine gnostiche utilizza numerosi frammenti di
un'opera omonima di Eracleone, altro discepolo di Valentino oltre a Tolomeo. Eracleone crea la più antica
opera di esegesi biblica che conosciamo in ambiente cristiano. Vi domina l'interpretazione di tipo allegorico,
finalizzata alla dimostrazione, tramite il racconto evangelico, dei principali punti dottrinali dello
gnosticismo: distinzione tra Demiurgo dell'AT e Dio
Sommo del NT; distinzione degli uomini in spirituali, psichici e ilici (materiali).
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura Cristiana Antica 9. La diffusione del marcionismo
Altra importante eresia fu il marcionismo, una forma esasperata di paolinismo. Marcione sostiene che c'è un
contrasto insanabile tra antico e nuovo testamento. Le sue idee erano pericolose per una coabitazione
pacifica delle due religioni e viene allontanato dall'Asia, finendo a Roma dove finanzia la comunità cristiana
con 200.000 sesterzi. Cerdone gli trasmette una cultura accentuatamente gnostica. Nel 144 viene cacciato da
Roma e fonda una serie di chiese marcioniste che per lungo tempo daranno noie. Ma qual è il messaggio di
Marcione?
Non possediamo testi suoi e ciò che sappiamo lo prendiamo dalla letteratura polemica contro di lui,
Tertulliano e l'Adversus Marcionem. Il contrasto tra legge mosaica che esige la giustizia e legge vangelica
che esige la grazia sono inconciliabili. Il Dio degli ebrei è un dio inferiore, un demiurgo creatore e giusto
che ha dispensato una Legge severa e crudele. Il Dio vero si è rivelato con Cristo, ed è un Dio salvatore e
buono che ha mandato il Cristo a salvare l'umanità e liberarla dalla Legge. La morte in croce era voluta dal
Dio buono ma non era prevista dalla Torah e questo accentua la condanna.
Secondo Marcione l'unico ad avere avvertito questo contrasto è stato Paolo, e le sue Lettere, quelle che
sottolineano maggiormente la novità del Vangelo rispetto alla Legge, che devono formare l'ossatura portante
del Nuovo Testamento. Secondo von Harnack Marcione non è uno gnostico ma il più coerente interprete di
Paolo, che con le sue antitesi di Legge e grazia, Legge e vangelo, anticiperebbe la riforma protestante.
Non molti la pensavano come lui e i teorici cristiani, per evitare strappi, dovevano formulare una teologia
della storia che facesse fronte allo stesso tempo alle obiezioni dei giudei e di Marcione, che conservasse
l'essenziale della tradizione giudaica e la novità della rivelazione cristiana. Ci pensa Giustino che scrive un
Contro Marcione che noi non possediamo, ma la soluzione è già presente nel Dialogo con Trifone. Il Dio
della Torah è il creatore del mondo e signore della storia, Dio di giudei e cristiani. La Scrittura contiene la
sua rivelazione ma il valore della Scrittura è essenzialmente quello di annunciare Cristo.
I Montanisti infine. Hanno una caratterizzazione sicuramente più polemica e politica. La data ufficiale di
formazione del movimento montanista è probabilmente quella indicata da Eusebio, tra il 171 e il 172.
Conosciamo male il montanismo originario, perchè i suoi scritti erano spesso sotto forma di oracoli di leader
raccolti da seguaci come testi ispirati, e sono andati quasi completamente perduti. Pare che nasca da un certo
Montano, un profeta frigio che predicava assieme a due donne di nome Priscilla e Massimilla. Il
montanismo sembra un revival dell'entusiasmo apocalittico.
Si presenta come una nuova profezia che prende spunto dall'Apocalisse di Giovanni quando parla di Gesù
che promette di inviare il Paràclito (lo Spirito Santo). In nome di ciò sancisce che la fine del mondo è vicina
e invita i suoi seguaci a riunirsi nella valle di Pepuza. Il montanismo è considerato non tanto un movimento
dottrinale ed eretico quanto ascetico e profetico, protestatario nei confronti di una Chiesa sempre più
secolarizzata.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura Cristiana Antica 10. Le accuse alla letteratura apologetica
- Accuse filosofico – religiose, nate in nome della difesa dei valori tradizionali della romanità. Troviamo
dunque Luciano, Epitteto e Galeno.
- Accuse sociali – religiose, nate sulla base di più concrete preoccupazioni di ordine politico. Troviamo qui
Plinio il giovane, Svetonio e Tacito.
Epitteto critica la mancanza di paura della morte dei cristiani, enumerando varie categorie di persone che
nutrono lo stesso sentimento: bambini, pazzi, depressi, filosofi stoici. I cristiani però non hanno paura della
morte solo per abitudine e non per un ponderato ragionamento.
Luciano ne parla a proposito della morte di Peregrino, un filosofo considerato da Luciano un ciarlatano, che
dopo essere stato cristiano per un po', si fa cinico e per dimostrare il suo disprezzo verso la morte si getta nel
fuoco a Olimpia. I fratelli cristiani che lo vanno a trovare sono dei creduloni e dei fanatici che non temono la
morte.
Galeno infine ammira la loro moralità, la loro continenza, ma batte anche lui sulla credulità e l'assenza di
paura dalla morte.
Plinio, Tacito e Svetonio concordano sul fatto che il cristianesimo sia SUPERSTITIO, ovvero non faccia
parte del mos maiorum, sia una manifestazione di fanatismo e non sia riconosciuta dall'autorità. Il
cristianesimo è anche religio PRAVA, EXITIABILIS, NOVA e MALEFICA.
Plinio scrivendo a Traiano nel 112, quando Plinio era governatore della Bitinia, chiede istruzioni
all'imperatore su come comportarsi con questi cristiani, che non sa davvero per quale reato condannarli.
Tacito a proposito dell'incendio di Nerone pur giustificando i cristiani lascia intendere che essi si sono
comunque macchiati di FLAGITIA (infamie) per il loro odium humani generis.Svetonio accusa anche di
magia e non vede per niente di buon occhio questa religio nova, nova e dunque senza tradizione.
Ormai nel II secolo i cristiani sentono il bisogno di giustificarsi dalle continue accuse rivolte a loro. Con
l'imperatore Marco Aurelio la repressione si fa ancora più dura. Aurelio, nonostante l'immagine che ha
lasciato ai posteri, non ha alcuna simpatia per i cristiani, anzi nutre una profonda antipatia per loro. A
differenza di Galeno ed Epitteto, rispettivamente suo medico e suo maestro di filosofia, vede la totale
assenza di paura della morte dei cristiani senza alcuna bonarietà, giudicandola teatrale e leggera.
Ma non è da vedere tanto in questo il motivo della loro persecuzione quanto nel progressivo allontamento
della popolazione romana dal servizio militare, proprio in un momento in cui i barbari premevano ai confini
dell'impero. Questa parataxis, come viene definito l'atteggiamento di opposizione frontale alla leva, risulta
naturalmente particolarmente odioso nei cristiani. Giustino muore nel 165. Policarpo nel 166 o 167 a
Smirne. Come reagiscono i cristiani?
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura Cristiana Antica